La trasparenza è un elemento assolutamente
necessario per una migliore gestione (economico finanziaria e organizzativa)
della “Cosa pubblica” ed essenziale per creare quella responsabilità delle
attività svolte per raggiungere un determinato risultato (accountability), in modo tale da responsabilizzare il management
pubblico e stimolare la rendicontazione di quanto realizzato.
Con la trasparenza è anche possibile una
maggiore partecipazione e collaborazione del cittadino che, conoscendo meglio la
PA, può contribuire attivamente a migliorare, anche attraverso proposte, la
qualità delle pubbliche amministrazioni, sia in termini di servizi erogati, sia
in ambito organizzativo e a mettere in pratica un nuovo tipo di controllo
amichevole (friendly citizen control).
La trasparenza consente anche di limitare i
fenomeni legati alla corruzione e all’evasione fiscale.
L'Italia, con i suoi 60milioni di abitanti,
ha l'1% della popolazione mondiale, ma realizza il 3% del prodotto interno
lordo globale e detiene il 5,7% della ricchezza del pianeta. Eppure, stando
alle dichiarazioni fiscali, i nostri connazionali non appaiono affatto così
ricchi: su 41.320.548 contribuenti (anno di imposta 2011) solo lo 0,1% (uno
ogni mille) denuncia più di 300mila euro. Il 62,89% sta sotto i 26mila euro, e
il 27% grazie a deduzioni e detrazioni non paga nulla. Così, in Italia, il
rapporto tra ricchezza e reddito dichiarato è 1 a 8.
In Italia, un dato ufficiale e complessivo
sull'evasione (così come sulla corruzione, sul riciclaggio, sulla economia criminale)
non esiste: evidentemente la politica sino ad ora non lo ha ritenuto
necessario. Impressiona che su un fenomeno così pervasivo e destabilizzante per
l’intera economia (nel senso di alterazione della concorrenza e del cospicuo
danno erariale) non esistono cifre aggiornate e strutture di indagine e analisi
dedicate, sia in Europa che in Italia. Poiché non esiste uno studio vero e
proprio e dati certi si riportano alcuni dati che rappresentano il fenomeno
elaborate da varie istituzioni.
L’evasione in Europa e in Italia.
L’evasione ed elusione fiscale europea è
stimata in almeno 1.000 miliardi di euro annui; l’Italia è il grande paese con
maggior percentuale di frodi fiscali rispetto al Pil.
L’UIF. La media
italiana, secondo l’Uif (che fa capo a Bankitalia), è di 38,19 euro dovuti
all’Erario e non versati ogni 100 euro di imposte pagate. L’impostazione da cui
parte l’Uif nell’attività antiriciclaggio è che l’evasione fiscale è il presupposto del riciclaggio di denaro sporco:
i due fenomeni (entrambi reati) sono in sostanza aspetti della stessa medaglia,
perché l’evasione fiscale contribuisce in misura essenziale a creare masse consistenti
di denaro sporco (come e forse in misura maggiore di attività criminali
socialmente considerate più gravi) ed è la fonte con cui vengono finanziate
attività criminali, in particolare di tipo organizzato, o acquisite attività
economiche apparentemente legali (che rappresentano la faccia presentabile
delle organizzazioni criminali).
L’ISTAT.
L’Istat ha pubblicato i suoi calcoli sul sommerso in Italia in un documento del
2010, in cui ha stimato il sommerso in una forchetta tra il 16,3 e 17,5%, in riferimento a dati del 2008. Il dettaglio
dell’evasione era indicato nel 32% nel settore agricolo, 12,4% nell’industria e
20,9% nei servizi. Nel 2008, quindi, il sommerso economico era compreso tra un
minimo di 255 ed un massimo di 275 miliardi di euro.
LA CORTE DEI CONTI. Secondo
la Corte dei Conti il nostro Paese è al
primo posto in assoluto nella Ue e ai primissimi posti della graduatoria
internazionale (secondo Giampaolino alle spalle solo di Turchia e Messico)
quanto a frodi fiscali. Il totale europeo delle frodi fiscali si aggira almeno
a 1.000 miliardi di euro. In questa graduatoria l’Italia, con il suo 27%, è
superata da nove paesi, che tuttavia hanno economie per dimensioni e grado di
sviluppo non paragonabili a quella italiana. Il primato negativo è della
Bulgaria (evasione al 35,3% del Pil), seguita da Romania (32,6), Lituania (32),
Estonia (31,2), Lettonia (29,2), Cipro (28), Grecia (27,5), Malta e Polonia
(27,2).
Recentemente il Presidente della Corte dei
Conti, Luigi Giampalolino, ha ricordato in audizione alla Camera che la
dimensione dell’evasione fiscale è particolarmente elevata, stimandola intorno
al 18% del Pil: secondo la Corte
l’Italia sarebbe al secondo posto della graduatoria internazionale guidata
dalla Grecia. Il gettito mancante solo per Iva ed Irap tra il 2007 e il 2009 è
quantificato in 138 miliardi, 46 miliardi medi annui.
"Analisi accurate condotte per la sola imposta sul
valore aggiunto - spiega il presidente della Corte dei Conti - evidenziano per
l'Italia un tax gap superiore al 36%,
che risulta di gran lunga il più elevato tra i grandi paesi europei, con
l'eccezione della Spagna, per la quale lo stesso rapporto supera il 39%".
In occasione dell’anno giudiziario, in
gennaio, la Corte aveva sottolineato la sua stima sul giro d’affari della
corruzione: 60 miliardi l’anno. Altro punto dolente indicato dalla Corte è
quello del contenzioso tributario: in primo grado i contribuenti vincono nel 45% dei casi, in appello
prevalgono sull’Agenzia delle entrate 48
volte su cento. In sostanza la lotta all’evasione produce una enorme mole
di ricorsi (325mila nel 2011, in discesa), ma lo Stato perde in circa la metà
dei casi: non proprio un esempio di efficienza in grado di far tremare i grandi
evasori fiscali.
LA CGIA DI MESTRE. L'imponibile
evaso in Italia è di circa 316 miliardi
di euro l'anno. In termini di imposte (dirette, indirette e contributive)
sottratte all'erario siamo nell'ordine dei 140/150
miliardi di euro. Le aree di evasione/elusione fiscale individuate sono 4:
l'economia sommersa; l'economia criminale; l'evasione/elusione delle grandi
imprese e quella dei lavoratori autonomi e delle piccole imprese.
La prima è la più diffusa e riguarda l'economia sommersa che, secondo
l'Istat, sottrae al fisco italiano un imponibile di circa 200 miliardi di euro
l'anno. L'esercito di lavoratori in nero è composto da circa 3 milioni di unità di lavoro standard.
Di questi 2.300.000 sono lavoratori
dipendenti che fanno il secondo o il terzo lavoro.
La seconda è l'economia criminale realizzata dalle grandi organizzazioni mafiose
che, in almeno 3 regioni del Mezzogiorno, controllano buona parte dell'
economia di quei territori. Si stima che il giro di affari non
"contabilizzati" si attesta sui 100
miliardi di euro l'anno.
La terza area è quella composta dalle grandi società di capitali. Secondo i
dati del Ministero dell'Economia e delle Finanze, il 50% circa delle grandi
società di capitali italiane dichiara per più anni redditi negativi o pari a
zero. In pratica su un totale di circa 800.000 società di capitali il 50% non
versa un euro al fisco italiano, almeno per quanto riguarda le imposte sul
reddito. Si stima un'evasione/elusione fiscale attorno ai 10 miliardi di euro l'anno.
Infine c'è l'evasione dei lavoratori autonomi e delle piccole imprese dovuta alla mancata
emissione di scontrini, di ricevute e di fatture fiscali che sottrae all'erario
circa 6 miliardi di euro l'anno.
L’EURISPES. Nel
suo rapporto (L’Italia in nero sul 2011) ha valutato in 540 miliardi di euro (35% del Pil ufficiale) l’imponibile evaso:
circa 280 miliardi di lavoro sommerso (evasione fiscale e contributiva), circa
160 di nero nelle imprese, circa 100 di economia informale. Nello stesso anno
il Pil criminale avrebbe superato i 200 miliardi di euro. Dal rapporto emerge una realtà che interessa ampie fasce
sociali, fatta tanto di evasione fiscale professionale (grandi redditi
occulti), quanto di micro-evasione. Secondo l’Eurispes è proprio la
micro-evasione, di impatto individuale molto ridotto ma molto diffusa, che ha
permesso alle famiglie di affrontare con meno traumi rispetto ad altri Paesi la
crisi economica, in particolare ricorrendo al secondo lavoro. Le stime fornite
indicano che il 35% dei lavoratori dipendenti ricorre al doppio lavoro, per un
aggregato in nero di 91 miliardi di euro annui.
LA NECESSITÀ DI UN RADICALE CAMBIAMENTO. Giampaolino sostiene la necessità di un radicale
cambiamento culturale degli italiani:
- la crescente insofferenza nei confronti dei
cosiddetti furbi (non solo evasori, ma in questi giorni soprattutto politici);
-
politiche pubbliche attive, per esempio, dotarsi
di strumenti di rilevazione e di analisi;
-
tax compliance: i cittadini
devono sentirsi parte viva della comunità e contribuire il più spontaneamente
possibile al suo corretto funzionamento, anche pagando le tasse;
-
tutta l’attività dell’Amministrazione
dovrebbe essere impostata e gestita con l’obiettivo di massimizzare l’adesione
spontanea: con la persuasione, l’assistenza, il supporto, nonché con
l’incentivazione premiale dei comportamenti adesivi;
-
la repressione, pur indispensabile, in
quest’ottica assume un ruolo di secondo piano.
Giampaolino pone l’accento sul noto effetto
perverso di doppia iniquità sociale
connessa all’evasione: non solo l’evasore non contribuisce al benessere comune in proporzione al proprio
reddito (o ricchezza), ma beneficia (approfitta)
di servizi e prestazioni sociali pubblici finanziati da chi non evade,
spesso a prezzi di favore o con priorità. Insomma, i cittadini fiscalmente
disonesti depredano e rendono iniquo anche lo Stato sociale.
Inoltre, l’evasione accentua l’effetto distorsivo della concorrenza
tra i soggetti con ritenuta alla fonte: chi evade ha costi inferiori a chi
evade meno o non evade, con il risultato di rendere meno competitive la partite
Iva più oneste.
LA RISTRUTTURAZIONE DELLA SPESA PUBBLICA
Il Presidente della Corte dei Conti ritiene
che l’efficacia della spending review
vada misurata sulla scorta degli effetti concreti che riuscirà a produrre sulla
burocrazia pubblica. L’efficacia deve essere valutata in prospettiva sulla
validità del nuovo assetto organizzativo futuro, prima ancora che in base al
mero risparmio di spesa.
“Le cosiddette resistenze burocratiche sono spesso solo
il riflesso dello scarso grado di approfondimento dell’utilità e della
fattibilità degli interventi ipotizzati”:
ovvero per riformare bisogna conoscere i meccanismi di funzionamento
attuale e fissare gli obiettivi su cosa si dovrà fare. Fondamentale risulta,
quindi, l’attività di studio e analisi da condurre oggi, insieme alla
definizione di obiettivi di riorganizzazione che tengano conto della necessaria
eliminazione di duplicazioni e sovrapposizioni e della verifica (senza
preclusioni pregiudiziali) dell’effettiva utilità di tutte le attività
amministrative svolte.
(fine
terza parte … continua)
Euro Mazzi
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