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domenica 29 giugno 2014

TRASPARENZA ED EVASIONE FISCALE: conoscere per comprendere e così pretendere un cambiamento. (parte terza)

La trasparenza è un elemento assolutamente necessario per una migliore gestione (economico finanziaria e organizzativa) della “Cosa pubblica” ed essenziale per creare quella responsabilità delle attività svolte per raggiungere un determinato risultato (accountability), in modo tale da responsabilizzare il management pubblico e stimolare la rendicontazione di quanto realizzato.
Con la trasparenza è anche possibile una maggiore partecipazione e collaborazione del cittadino che, conoscendo meglio la PA, può contribuire attivamente a migliorare, anche attraverso proposte, la qualità delle pubbliche amministrazioni, sia in termini di servizi erogati, sia in ambito organizzativo e a mettere in pratica un nuovo tipo di controllo amichevole (friendly citizen control).

La trasparenza consente anche di limitare i fenomeni legati alla corruzione e all’evasione fiscale.
L'Italia, con i suoi 60milioni di abitanti, ha l'1% della popolazione mondiale, ma realizza il 3% del prodotto interno lordo globale e detiene il 5,7% della ricchezza del pianeta. Eppure, stando alle dichiarazioni fiscali, i nostri connazionali non appaiono affatto così ricchi: su 41.320.548 contribuenti (anno di imposta 2011) solo lo 0,1% (uno ogni mille) denuncia più di 300mila euro. Il 62,89% sta sotto i 26mila euro, e il 27% grazie a deduzioni e detrazioni non paga nulla. Così, in Italia, il rapporto tra ricchezza e reddito dichiarato è 1 a 8.
In Italia, un dato ufficiale e complessivo sull'evasione (così come sulla corruzione, sul riciclaggio, sulla economia criminale) non esiste: evidentemente la politica sino ad ora non lo ha ritenuto necessario. Impressiona che su un fenomeno così pervasivo e destabilizzante per l’intera economia (nel senso di alterazione della concorrenza e del cospicuo danno erariale) non esistono cifre aggiornate e strutture di indagine e analisi dedicate, sia in Europa che in Italia. Poiché non esiste uno studio vero e proprio e dati certi si riportano alcuni dati che rappresentano il fenomeno elaborate da varie istituzioni.
L’evasione in Europa e in Italia.
L’evasione ed elusione fiscale europea è stimata in almeno 1.000 miliardi di euro annui; l’Italia è il grande paese con maggior percentuale di frodi fiscali rispetto al Pil.
L’UIF. La media italiana, secondo l’Uif (che fa capo a Bankitalia), è di 38,19 euro dovuti all’Erario e non versati ogni 100 euro di imposte pagate. L’impostazione da cui parte l’Uif nell’attività antiriciclaggio è che l’evasione fiscale è il presupposto del riciclaggio di denaro sporco: i due fenomeni (entrambi reati) sono in sostanza aspetti della stessa medaglia, perché l’evasione fiscale contribuisce in misura essenziale a creare masse consistenti di denaro sporco (come e forse in misura maggiore di attività criminali socialmente considerate più gravi) ed è la fonte con cui vengono finanziate attività criminali, in particolare di tipo organizzato, o acquisite attività economiche apparentemente legali (che rappresentano la faccia presentabile delle organizzazioni criminali).
L’ISTAT. L’Istat ha pubblicato i suoi calcoli sul sommerso in Italia in un documento del 2010, in cui ha stimato il sommerso in una forchetta tra il 16,3 e 17,5%, in riferimento a dati del 2008. Il dettaglio dell’evasione era indicato nel 32% nel settore agricolo, 12,4% nell’industria e 20,9% nei servizi. Nel 2008, quindi, il sommerso economico era compreso tra un minimo di 255 ed un massimo di 275 miliardi di euro.
LA CORTE DEI CONTI. Secondo la Corte dei Conti il nostro Paese è al primo posto in assoluto nella Ue e ai primissimi posti della graduatoria internazionale (secondo Giampaolino alle spalle solo di Turchia e Messico) quanto a frodi fiscali. Il totale europeo delle frodi fiscali si aggira almeno a 1.000 miliardi di euro. In questa graduatoria l’Italia, con il suo 27%, è superata da nove paesi, che tuttavia hanno economie per dimensioni e grado di sviluppo non paragonabili a quella italiana. Il primato negativo è della Bulgaria (evasione al 35,3% del Pil), seguita da Romania (32,6), Lituania (32), Estonia (31,2), Lettonia (29,2), Cipro (28), Grecia (27,5), Malta e Polonia (27,2).
Recentemente il Presidente della Corte dei Conti, Luigi Giampalolino, ha ricordato in audizione alla Camera che la dimensione dell’evasione fiscale è particolarmente elevata, stimandola intorno al 18% del Pil: secondo la Corte l’Italia sarebbe al secondo posto della graduatoria internazionale guidata dalla Grecia. Il gettito mancante solo per Iva ed Irap tra il 2007 e il 2009 è quantificato in 138 miliardi, 46 miliardi medi annui.
"Analisi accurate condotte per la sola imposta sul valore aggiunto - spiega il presidente della Corte dei Conti - evidenziano per l'Italia un tax gap superiore al 36%, che risulta di gran lunga il più elevato tra i grandi paesi europei, con l'eccezione della Spagna, per la quale lo stesso rapporto supera il 39%".
In occasione dell’anno giudiziario, in gennaio, la Corte aveva sottolineato la sua stima sul giro d’affari della corruzione: 60 miliardi l’anno. Altro punto dolente indicato dalla Corte è quello del contenzioso tributario: in primo grado i contribuenti vincono nel 45% dei casi, in appello prevalgono sull’Agenzia delle entrate 48 volte su cento. In sostanza la lotta all’evasione produce una enorme mole di ricorsi (325mila nel 2011, in discesa), ma lo Stato perde in circa la metà dei casi: non proprio un esempio di efficienza in grado di far tremare i grandi evasori fiscali.
LA CGIA DI MESTRE. L'imponibile evaso in Italia è di circa 316 miliardi di euro l'anno. In termini di imposte (dirette, indirette e contributive) sottratte all'erario siamo nell'ordine dei 140/150 miliardi di euro. Le aree di evasione/elusione fiscale individuate sono 4: l'economia sommersa; l'economia criminale; l'evasione/elusione delle grandi imprese e quella dei lavoratori autonomi e delle piccole imprese.
La prima è la più diffusa e riguarda l'economia sommersa che, secondo l'Istat, sottrae al fisco italiano un imponibile di circa 200 miliardi di euro l'anno. L'esercito di lavoratori in nero è composto da circa 3 milioni di unità di lavoro standard. Di questi 2.300.000 sono lavoratori dipendenti che fanno il secondo o il terzo lavoro.
La seconda è l'economia criminale realizzata dalle grandi organizzazioni mafiose che, in almeno 3 regioni del Mezzogiorno, controllano buona parte dell' economia di quei territori. Si stima che il giro di affari non "contabilizzati" si attesta sui 100 miliardi di euro l'anno.
La terza area è quella composta dalle grandi società di capitali. Secondo i dati del Ministero dell'Economia e delle Finanze, il 50% circa delle grandi società di capitali italiane dichiara per più anni redditi negativi o pari a zero. In pratica su un totale di circa 800.000 società di capitali il 50% non versa un euro al fisco italiano, almeno per quanto riguarda le imposte sul reddito. Si stima un'evasione/elusione fiscale attorno ai 10 miliardi di euro l'anno.
Infine c'è l'evasione dei lavoratori autonomi e delle piccole imprese dovuta alla mancata emissione di scontrini, di ricevute e di fatture fiscali che sottrae all'erario circa 6 miliardi di euro l'anno.
L’EURISPES. Nel suo rapporto (L’Italia in nero sul 2011) ha valutato in 540 miliardi di euro (35% del Pil ufficiale) l’imponibile evaso: circa 280 miliardi di lavoro sommerso (evasione fiscale e contributiva), circa 160 di nero nelle imprese, circa 100 di economia informale. Nello stesso anno il Pil criminale avrebbe superato i 200 miliardi di euro. Dal rapporto emerge una realtà che interessa ampie fasce sociali, fatta tanto di evasione fiscale professionale (grandi redditi occulti), quanto di micro-evasione. Secondo l’Eurispes è proprio la micro-evasione, di impatto individuale molto ridotto ma molto diffusa, che ha permesso alle famiglie di affrontare con meno traumi rispetto ad altri Paesi la crisi economica, in particolare ricorrendo al secondo lavoro. Le stime fornite indicano che il 35% dei lavoratori dipendenti ricorre al doppio lavoro, per un aggregato in nero di 91 miliardi di euro annui.
LA NECESSITÀ DI UN RADICALE CAMBIAMENTO. Giampaolino sostiene la necessità di un radicale cambiamento culturale degli italiani:
- la crescente insofferenza nei confronti dei cosiddetti furbi (non solo evasori, ma in questi giorni soprattutto politici);
-          politiche pubbliche attive, per esempio, dotarsi di strumenti di rilevazione e di analisi;
-          tax compliance: i cittadini devono sentirsi parte viva della comunità e contribuire il più spontaneamente possibile al suo corretto funzionamento, anche pagando le tasse;
-          tutta l’attività dell’Amministrazione dovrebbe essere impostata e gestita con l’obiettivo di massimizzare l’adesione spontanea: con la persuasione, l’assistenza, il supporto, nonché con l’incentivazione premiale dei comportamenti adesivi;
-          la repressione, pur indispensabile, in quest’ottica assume un ruolo di secondo piano.
Giampaolino pone l’accento sul noto effetto perverso di doppia iniquità sociale connessa all’evasione: non solo l’evasore non contribuisce al benessere comune in proporzione al proprio reddito (o ricchezza), ma beneficia (approfitta) di servizi e prestazioni sociali pubblici finanziati da chi non evade, spesso a prezzi di favore o con priorità. Insomma, i cittadini fiscalmente disonesti depredano e rendono iniquo anche lo Stato sociale.
Inoltre, l’evasione accentua l’effetto distorsivo della concorrenza tra i soggetti con ritenuta alla fonte: chi evade ha costi inferiori a chi evade meno o non evade, con il risultato di rendere meno competitive la partite Iva più oneste.
LA RISTRUTTURAZIONE DELLA SPESA PUBBLICA
Il Presidente della Corte dei Conti ritiene che l’efficacia della spending review vada misurata sulla scorta degli effetti concreti che riuscirà a produrre sulla burocrazia pubblica. L’efficacia deve essere valutata in prospettiva sulla validità del nuovo assetto organizzativo futuro, prima ancora che in base al mero risparmio di spesa.
“Le cosiddette resistenze burocratiche sono spesso solo il riflesso dello scarso grado di approfondimento dell’utilità e della fattibilità degli interventi ipotizzati”: ovvero per riformare bisogna conoscere i meccanismi di funzionamento attuale e fissare gli obiettivi su cosa si dovrà fare. Fondamentale risulta, quindi, l’attività di studio e analisi da condurre oggi, insieme alla definizione di obiettivi di riorganizzazione che tengano conto della necessaria eliminazione di duplicazioni e sovrapposizioni e della verifica (senza preclusioni pregiudiziali) dell’effettiva utilità di tutte le attività amministrative svolte.

(fine terza parte … continua)
Euro Mazzi

 

 

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