Il
problema del riutilizzo dell’area denominata “ex Filippi” (composta da una zona
formata da vari capannoni e da un vasto spazio originariamente destinato a cava
per l’estrazione dell’argilla) ha sempre caratterizzato la vita politica e
amministrativa del Comune di Castelnuovo, producendo accesi dibattiti e profonde
divisioni emblematiche della diversa
visione della politica e della gestione del territorio da parte sia delle
forze politiche e sociali presenti localmente, che dei vari “personaggi” che se
ne sono occupati nel tempo.
Le
tappe significative di questo problema sono state molte, poiché è una storia
ultra-centenaria; in modo sintetico è possibile individuare un antefatto e poi
quattro significative tappe.
L’antefatto
riguarda l’attività industriale (1869 – 1983). Infatti, l’attuale area
denominata “ex Filippi”
è il residuo di una centenaria attività industriale di laterizi dismessa negli
anni ottanta; la fabbrica chiamata “Fornaci Filippi” si è formata nel primo decennio
dopo il 1861 e per oltre un secolo è stata una delle aziende più importanti
della zona. Negli anni '80 la fabbrica era oberata dai debiti e falliva, ma l’effettiva
cessazione dell’attività industriale (che occupava ancora 28 operai) avveniva in data 5/4/1983.
La prima tappa riguarda l’acquisizione dell’area da parte del Comune (1982-1984). In questo periodo la Giunta Comunale castelnovese (maggioranza PCI e PSI), preso atto della cessazione dell’attività industriale, decideva di acquisire l’area ex Filippi (intesa nel suo insieme, capannoni e area di cava) e avviava un primo progetto di recupero redatto dal geom. Giuliano Musetti, progetto che veniva approvato dal Consiglio Comunale (delibera n. 28 del 3/6/83) con una spesa preventivata di lire 408.958.550. Conseguentemente, in data 13/6/83 il Sindaco emetteva un decreto “di occupazione temporanea in via di urgenza e designazione tecnico per la redazione degli atti di consistenza” per tutta l’area della ex Filippi con il fine della sua acquisizione al patrimonio comunale. A tale decreto si opponeva con specifico ricorso al TAR il curatore fallimentare per richiederne l'annullamento, ma il Tar ligure in data 19/1/84 respingeva tale ricorso. Nel frattempo si era verificata una contrapposizione tra due posizioni. Da una parte, il curatore fallimentare (dott. Renzo Grassi), gli industriali delle segherie di marmo locali, i sindacati, alcune forze politiche (DC, PRI e parte del PCI) che volevano utilizzare la ex cava Filippi come discarica per i residui della lavorazione dei lapidei (marmo e granito). Dall’altra, vi erano gruppi di cittadini appoggiati dal locale PSI e da una parte minoritaria del PCI che si opponevano all’ipotesi di realizzare una discarica e volevano l’immediata acquisizione al patrimonio comunale di tutta l’area da destinare poi a parco pubblico. Tale contrapposizione portava alla crisi della maggioranza con la fuoriuscita del PSI. L’area della ex Filippi, che doveva diventare di proprietà pubblica a seguito del decreto sindacale del 13/6/1983, ritornava nella piena disponibilità della curatela fallimentare poiché il Comune aveva rinunciato a completare gli atti di acquisizione.
La prima tappa riguarda l’acquisizione dell’area da parte del Comune (1982-1984). In questo periodo la Giunta Comunale castelnovese (maggioranza PCI e PSI), preso atto della cessazione dell’attività industriale, decideva di acquisire l’area ex Filippi (intesa nel suo insieme, capannoni e area di cava) e avviava un primo progetto di recupero redatto dal geom. Giuliano Musetti, progetto che veniva approvato dal Consiglio Comunale (delibera n. 28 del 3/6/83) con una spesa preventivata di lire 408.958.550. Conseguentemente, in data 13/6/83 il Sindaco emetteva un decreto “di occupazione temporanea in via di urgenza e designazione tecnico per la redazione degli atti di consistenza” per tutta l’area della ex Filippi con il fine della sua acquisizione al patrimonio comunale. A tale decreto si opponeva con specifico ricorso al TAR il curatore fallimentare per richiederne l'annullamento, ma il Tar ligure in data 19/1/84 respingeva tale ricorso. Nel frattempo si era verificata una contrapposizione tra due posizioni. Da una parte, il curatore fallimentare (dott. Renzo Grassi), gli industriali delle segherie di marmo locali, i sindacati, alcune forze politiche (DC, PRI e parte del PCI) che volevano utilizzare la ex cava Filippi come discarica per i residui della lavorazione dei lapidei (marmo e granito). Dall’altra, vi erano gruppi di cittadini appoggiati dal locale PSI e da una parte minoritaria del PCI che si opponevano all’ipotesi di realizzare una discarica e volevano l’immediata acquisizione al patrimonio comunale di tutta l’area da destinare poi a parco pubblico. Tale contrapposizione portava alla crisi della maggioranza con la fuoriuscita del PSI. L’area della ex Filippi, che doveva diventare di proprietà pubblica a seguito del decreto sindacale del 13/6/1983, ritornava nella piena disponibilità della curatela fallimentare poiché il Comune aveva rinunciato a completare gli atti di acquisizione.
La seconda tappa
attiene alla discussione sulla realizzazione di una discarica (1984 – 1990/92).
In questo periodo prende forma, forza e concretezza l’ipotesi di trasformare la
ex cava Filippi
in una discarica destinata a
raccogliere i fanghi della lavorazione dei lapidei (la marmettola), mentre per l’area
dei capannoni emergeva una destinazione privata
a fini edilizi misti (produttivi e residenziali). Intanto, l’area della ex cava
veniva venduta dal fallimento all’asta per 660 milioni in data 7/5/87 alla
società Ecobonifiche Srl.
A contrastare l’ipotesi di realizzazione
di una discarica nell’area della ex cava Filippi
era rimasto solo un gruppo di cittadini e gli esponenti locali socialisti,
mentre si erano oramai espressi a favore della discarica i sindacati, gli industriali, le associazioni di
categoria e alcuni partiti (PCI, DC, PRI, Sinistra Indipendente).
La terza tappa
riguarda la gestione della discarica da parte della società Ecobonifiche Srl (1990 – 2001).
L’attività di discarica vera e
propria iniziava nel 1992 (deliberazioni della Giunta Regionale n. 4469 del
18/10/1990 e n. 4268 del 18/9/1992) e terminava nel 2001; in questo periodo l’area della ex cava destinata
a discarica vengono depositate circa
870.000 m3 (pari a circa 1,8 milioni di ton.) di fanghi della lavorazione dei
lapidei, provenienti in gran parte dalla provincia massese.
I
contrari alla discarica (i quattro
consiglieri socialisti) erano in netta minoranza e, quindi, il Consiglio
Comunale castelnovese dette l’assenso definitivo alla realizzazione della discarica; ma grazie alla loro ferma
opposizione gli iniziali accordi venivano modificati con l’introduzione di una
serie di garanzie, tra le quali ricordiamo: - il contratto di opzione di
riacquisto dell’area, utilizzando le somme versate dalla società Ecobonifiche Srl quale ristoro per i
disagi creati alla popolazione; - una serie articolata di controlli sulla
corretta gestione della discarica. Tra
questi ultimi, figurava l’istituzione di un Comitato di controllo costituito da
cittadini; questo Comitato dopo la sua costituzione venne, però,
progressivamente emarginato e poi definitivamente escluso; i controlli nel
tempo diventeranno esclusivamente formali e poco incisivi, nonostante il moltiplicarsi
di segnalazioni su possibili abusi, senza però riuscire a dimostrare la
presenza di concrete irregolarità.
Nel
frattempo anche l’area dei capannoni veniva venduta all’asta fallimentare nel marzo del 2000 alla società Still Srl.
La quarta tappa
riguarda la sistemazione finale della discarica e la vendita dell’area al
Comune
(2001 ed è ancora in corso). L’autorizzazione regionale rilasciata per la
gestione della discarica prevedeva
uno specifico piano per la sistemazione finale dell’area da realizzarsi dopo la
fine dell’attività di abbancamento dei fanghi (avvenuta alla fine del 2001). Gli
accordi stipulati tra la società Ecobonifiche
Srl e il Comune di Castelnuovo prevedevano che, al termine dell’attività di
discarica e della integrale sistemazione
finale dell’area, scattasse la possibilità per il Comune di Castelnuovo Magra di
acquistare l’area al prezzo convenuto complessivo di lire 500.000.000, somme
che erano state già depositate annualmente dalla stessa società Ecobonifiche quale ristoro per i disagi
creati alla popolazione (come previsto da una convenzione stipulata tra le
parti in data 31/3/1992). Il Comune, una volta divenuto proprietario dell’area,
avrebbe dovuto poi destinarla a parco
pubblico comprensivo della presenza di un lago per ripristinare quel lago
che era divenuto di fatto un’oasi faunistica prima della realizzazione della discarica e che rappresentava uno dei
motivi sollevati dagli oppositori dell’ipotesi di discarica.
Ma
queste previsioni riguardanti la
destinazione finale dell’area e la sua successiva cessione al Comune al momento non sono state ancora pienamente realizzate.
La società Ecobonifiche aveva inizialmente proposto di tenersi il terreno, concedendo
al Comune di trattenere le somme già versate nel corso della gestione della discarica (pari a lire 500.000.000). Di
fronte a questa proposta, la Giunta Tognoni rimaneva per un lungo periodo (dal
2001 al 2004) “possibilista”, cioè incerta tra la scelta di tenersi i soldi o
rivendicare la proprietà del terreno interessato alla discarica. La nuova Giunta Favini, invece, riprendeva in
considerazione l’attivazione della proposta irrevocabile di acquisto dell’area ex cava
Filippi contenuta nel contratto di
opzione del 31/ 3/1992 e con delibera di Consiglio Comunale n. 14 del
27/5/2005 (votata all’unanimità) veniva finalmente attivata la procedura di
acquisizione dell’area.
La
società Ecobonifiche srl, dopo aver
coltivato dal 1992 al 2001 la discarica
per i rifiuti lapidei, aver conseguentemente guadagnato per questa attività diversi
milioni di euro, si rifiutava di cedere
l’area al Comune e, pertanto, il Comune era costretto a farle causa.
La
sentenza di primo grado (2/5/2014) riconosceva il diritto del Comune ad entrare
in possesso dell’area dell’ex cava Filippi contro versamento della somma di €
258.228,44 in esecuzione del contratto di opzione del 31/3/92, e condannava Ecobonifiche a risarcire il “danno” quantificato in €
5.365.901,54 per la mancata
sistemazione finale dell’area di discarica, oltre al rimborso delle spese
di causa.
La sentenza di appello (26/9/2018) rigettava il ricorso proposto da Ecobonifiche srl e confermava la
sentenza di primo grado. Se quest’ultima sentenza non dovesse essere impugnata
l’area diventerà finalmente di proprietà comunale, ma dovranno essere fatti i
lavori di sistemazione finale della discarica
e poi occorrerà operare per la sua trasformazione in parco pubblico.
Nel
frattempo il Comune dovrà tentare di recuperare dalla società Ecobonifiche Srl le somme necessarie
per la bonifica (e non sarà una cosa semplice e facile, anzi … assai difficile);
poi dovranno essere reperite le necessarie risorse per la trasformazione a “parco pubblico”. Quindi ci saranno sicuramente
altre tappe e la strada da percorrere è ancora lunga e assai articolata.
In conclusione. Le vicende qui
sintetizzate (avvenute nell’arco di 33 anni) hanno veramente rappresentato una spaccatura tra due diverse impostazioni
politiche: da una parte, chi ha cercato di dare concrete risposte alle necessità degli industriali di dotarsi di
una discarica per i fanghi della
lavorazione dei lapidei, con la conseguente gestione privata della discarica (PCI-DS-PD e
DC-Margherita-PD); dall’altra, chi ha cercato di tutelare il territorio, opponendosi alla discarica e privilegiando l’acquisizione
immediata al patrimonio pubblico dell’area (i consiglieri socialisti prima
e quelli della lista civica dopo).
Questi ultimi sono sempre stati
all’opposizione, ma hanno avuto il merito di vigilare e di incalzare la maggioranza consigliare attraverso
l’inoltro di interventi, mozioni, interpellanze, ordini del giorno e
convocazioni di Consigli Comunali. Grazie a quest’opera di costante attenzione sono state inserite clausole di garanzia che hanno “limitato” i danni. Per esempio,
l’introduzione della forma contrattuale della proposta irrevocabile di acquisto
è stata alla base del favorevole pronunciamento giudiziario successivo, assicurando così la
possibilità per il Comune di poter entrare in possesso della proprietà
dell’area in precedenza destinata a discarica.
In proposito non va dimenticato come già subito dopo l’avvenuta stipula della convenzione i
consiglieri di opposizione avevano denunciato
la mancata trascrizione nei Registri Immobiliari del contratto stipulato in
data 31/3/92; si trattava di una circostanza di
particolare importanza poiché la trascrizione avrebbe dovuto evitare che l’area
fosse ceduta dalla società Ecobonifiche
a terzi, ipotesi che avrebbe del tutto vanificato
i diritti del Comune.
Euro Mazzi
- DISTRETTO PRODUTTIVO DELLA VIA AURELIA: tra incapacità, rischi ambientali e … “ci vorrebbe un amico” …: QUI
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